La Resistenza degli Ultimi

In evidenza

Storia di una donna ceccanese deportata nei lager nazisti

di Luigi Compagnoni

Ogni anno, con l’avvicinarsi delle celebrazioni per il 25 aprile, torna lo scontro fazioso tra le parti che, di fatto, ha sempre impedito un’analisi serena e libera da preconcetti di uno dei momenti più importanti della nostra storia recente. Affinché il 25 aprile sia finalmente la Festa della Liberazione di Tutti, non dovrebbe essere vista con il senso di vittoria di una parte e sconfitta dell’altra, ma come il culmine di uno sforzo di tutti gli italiani per ribellarsi dalla tirannia in cui versavano da ormai troppo tempo. La storia infatti riporta alla luce non solo chi imbracciava fucili e apparteneva a schieramenti politici organizzati, ma anche figure solitarie che a loro modo, e in maniera non violenta, decisero di ribellarsi anche mettendo a rischio la propria vita.

Con il supporto di tanti dati e notizie da archivi fino a pochi anni fa inaccessibili , finalmente è possibile ricostruire tante storie di comuni cittadini che, anche senza imbracciare il fucile, hanno manifestato il loro dissenso alla dittatura a cui non possiamo restare indifferenti.

In tempi recenti, l’Archivio Centrale dello Stato ha pubblicato in rete gli archivi della Croce Rossa Italiana riguardanti l’elenco dei reduci internati nei lager nazisti dopo l’8 settembre del 1943. Sul ruolo degli I.M.I. (Internati Militari Italiani)abbiamo già scritto in passato soprattutto a proposito del significato storico del rifiuto della maggioranza di loro ad aderire alla Repubblica di Salò come atto fondante, ormai riconosciuto da tutti gli storici, della resistenza Italiana al nazi-fascismo.

Ma le notizie che emergono dalla lettura emozionante degli elenchi, finalmente resi pubblici, sono ancora più interessanti. Negli elenchi, che sono stati suddivisi per provincia, sono indicati i nominativi di 106 ceccanesi che nel giugno del 1945 transitarono nei centri di raccolta di Milano o Bolzano nei vagoni provenienti dai lager tedeschi una volta liberati dalle truppe Sovietiche o Alleate. Nello scorrere  l’elenco,  la nostra attenzione è caduta su un nominativo di una donna, Antonietta Gallucci, nata a Ceccano nel 1923, indicata con lo status di civile e internata a Berlino.Seppure in possesso dei suoi dati,reperiti nell’Anagrafe comunale, non si è riusciti da subito a trovare tracce di congiunti o familiari diretti presenti a Ceccano, soprattutto perché Antonietta dal 1957 era emigrata a Roma, dove si era sposata senza avere figli. Soltanto attraverso un paziente lavoro di ricerca svolto con l’amico Adriano Masi nella zona della Cardegna, e intervistando alcune persone che portano lo stesso cognome,si sono avuti i primi riscontri sulla figura di Antonietta, scomparsa  negli  anni ’90. Figlia di Vincenzo,ingegnere che aveva lavorato anche negli Stati Uniti alla costruzione di ferrovie, faceva parte di una famiglia composta da 4 sorelle e un fratello ed aveva lavorato come infermiera presso l’ospedale Fatebenefratelli, nell’isola Tiberina, a Roma, prestando sempre la sua massima disponibilità e assistenza ai compaesani che di volta in volta avevano avuto bisogno di ricoveri o di altre prestazioni sanitarie in quell’ospedale.

Altre notizie in queste ricerche non sono emerse e, quindi, diventava difficile scoprire le ragioni o le cause che avevano condotto Antonietta, dopo l’8 settembre 1943, ad essere deportata in un lager nazista. Finalmente, pochi giorni fa, grazie alla perspicacia del nipote di secondo grado Antonio Gallucci, si riusciva a rintracciare un nipote diretto (Daniele Gallucci, figlio di Luigi, unico fratello di Antonietta) che vive a Roma, ed è emersa la causa della sua deportazione in Germania.

Gallucci Maria Antonia (nell’elenco della C.R.I. indicata come Antonietta)lavorava nella fabbrica di munizioni di Bosco Faito della SNIA-BPD durante la guerra dove, come raccontato nel libro “Il dolore della memoria” dal prof. Angelino Loffredi  ,durante il periodo bellico veniva utilizzata soprattutto mano d’opera femminile. Il lavoro all’interno della fabbrica era soggetto a restrizioni e soprusi di vario genere di stampo autoritario e militare che erano sfociate anche in denunce e licenziamenti del personale addetto alla produzione delle munizioni. Per questo specifico caso, purtroppo, non si riesce a  collocare esattamente la data, perché il nipote Daniele non è stato in grado di fornire altre notizie, ma ha confermato la notizia più importante: Antonietta un giorno si rifiutò di presentarsi al lavoro, forse per protesta personale o forse perché era parte di un piano più grande per sabotare la produzione bellica, non siamo in grado di aggiungere al riguardo nessun elemento a sostegno,ma le conseguenze del suo rifiuto furono drammatiche. Per questo atto, Antonietta venne arrestata il giorno stesso e oggi – grazie agli elenchi dei reduci resi pubblici – sappiamo che addirittura venne deportata in Germania e, secondo la Croce Rossa, il 6 giugno del 1945 transitò a Bolzano proveniente da un lager ubicato a Berlino.

Di questa vicenda non si è mai parlato o raccontato a sufficienza, anche all’interno della sua famiglia o nella sua contrada di origine,forse perché di fatto Antonietta nel 1957 si trasferì a Roma e, tranne sporadiche visite a Ceccano,visse e lavorò in altri luoghi e magari, come capitato a migliaia di altri ex deportati o soldati, volle dimenticare quei tragici periodi.

Nella ricorrenza del 78° anniversario della Liberazione, ho voluto raccontare la storia di una comunissima persona che, senza imbracciare il fucile o appartenere ad una forza politica organizzata, si ribellò all’oppressione e ne pagò le conseguenze fino alla deportazione.

Spero che queste storie aiutino finalmente a conciliare anche nella nostra città quello spirito di ribellione alla base del riscatto dall’oppressione dittatoriale che contribuì alla liberazione e soprattutto della nascita della democrazia e della libertà nel nostro paese.

Siamo il distretto del rifiuto?

In evidenza

È di questi giorni la discussione sulla possibilità di veder nascere un biodigestore, impianto di lavorazione di rifiuti raccolti da ambienti domestici, nella zona industriale tra Frosinone e Ceccano. Le posizioni di associazioni, mediche e ambientaliste, sono tanto agguerrite quanto distanti e abbiamo capito che sull’argomento non esiste, e non esisterà, una linea comune. Da un lato i medici che vedono la nuova impiantistica come il fumo agli occhi perché inserito in un territorio che, e su questo non crediamo ci siano dubbi, già soffre e combatte per livelli di inquinamento tra i più alti in Italia, dall’altro gli ambientalisti proiettati in un futuro roseo che di impianti per il trattamento di rifiuti come quello ne include molti altri e diversificati.

Sono un’ambientalista convinta e lo sarò sempre perché nell’inquinata Valle del Sacco sono nata e vivo. Sono un’ambientalista convinta perché  gli ultimi venti anni della Valle del Sacco li ho osservati e raccontati da giornalista. Da una città, Ceccano, che gareggia con Frosinone solo per i livelli stratosferici di inquinamento.

Il dibattito che si vuole animare è vecchio e certamente poco utile. Hanno già deciso. Ma non ce lo dicono. Come non ci hanno detto di aver sancito la vocazione della provincia di Frosinone a terra dei rifiuti. Siamo noi gli abitanti del Centro Italia scelti dalle direttive governative per iniziare a definire i programmi di sviluppo da qui ai prossimi decenni. Siamo noi quelli scelti per trasformarci in distretto del rifiuto. Siamo noi quelli che dopo la desertificazione industriale dell’ex Cassa del Mezzogiorno oggi siamo chiamati a vedercela da soli con un bel pacchetto di SIN (i famigerati siti di interesse nazionale), aree che riescono a produrre solo decreti di interdizione per ogni genere di attività e che nell’ultimo ventennio ci hanno indicato con l’evidenziatore come territorio depresso e abbandonato. Con buona pace dei milioni di euro stanziati a più riprese nelle fasi di emergenza ma mai arrivati per trasformare in fatti quanto scritto nero su bianco. La prima emergenza della Valle del Sacco ha mandato in fumo 11 milioni di euro con un unico risultato: zero interventi e addirittura perimetri da ridefinire (con la nuova CARATTERIZZAZIONE).

Ora, di fronte ad uno scenario così devastante, davvero questa popolazione dovrebbe credere che un impianto biodigestore (insieme a quanti altri?) sarebbe il primo passo verso un futuro migliore? Chi ce lo assicura? Quali garanzie si offrono ai cittadini? Perché questi cittadini dovrebbero fidarsi? Quali sarebbero gli organi deputati a controlli e verifiche periodiche di certificazioni e autorizzazioni?

Il dibattito sembra essere solo un vecchio trucco, quello del volerla buttare nel caos quando in pochi hanno già deciso sulle nostre teste. Ogni discussione può considerarsi utile quando gli attori che la animano si misurano sullo stesso piano. Mettere medici contro ambientalisti è solo un modo per lasciarci l’illusione che ci siano margini per decidere. Ma così non è visto che da un lato ci sono i numeri delle patologie che la popolazione sta affrontando in questo territorio devastato da anni di inquinamento delle acque, dei terreni e dell’aria – dati concreti che ogni famiglia, purtroppo, può verificare sulla pelle – e dall’altro le speranzose proiezioni degli ambientalisti che dalla loro tirano in ballo le realtà che in altre parti d’Italia raccontano di paradisi ecologici nati intorno ad impianti come quello che si vuole da noi. Ma le altre zone d’Italia, signori, non sono la valle del Sacco. Non esiste un’altra Valle del Sacco in Italia. È il contesto che fa la differenza.

Sono tanti i quesiti che restano senza risposta e che scattano la fotografia di una terra in sofferenza.

Perché nella nostra provincia ci sono sindaci che non riescono ad esercitare il loro ruolo di tutori della salute pubblica e non vengono ascoltati quando rifiutano di sottostare ai ricatti occupazionali che per decenni ci hanno portato a questa situazione?

Perché le associazioni ambientaliste non sono scese in campo quando quei sindaci li hanno chiamati in aiuto per opporsi all’ennesimo insediamento per il trattamento di rifiuti sul territorio?

Perché di fronte all’assenza del Registro dei Tumori (altro record per la nostra provincia: a Latina esiste da oltre 20 anni) che metterebbe in luce la verità sulla diffusione delle malattie, le associazioni ambientaliste restano in silenzio?

Perché il biodigestore risulta essere l’unica alternativa possibile per il nostro distretto? Perché non si parla mai di altro? Possibile che accanto ai distretti chimico e farmaceutico rimasti nella nostra provincia non si possa parlare di poli per la formazione, di trasformazione e recupero delle aree industriali che non guardino esclusivamente al settore dei rifiuti?

I Monumenti Parlano: la storia della comunità attraverso i luoghi della memoria

Non solo il monumento ai Caduti di tutte le guerre in piazza 25 Luglio evoca con la sua solennità la memoria del passato, Ceccano può riscoprire la propria identità civile attraverso quattro opere pubbliche di scultura realizzate fra il 1996 e il 2005: monumenti che parlano di lavoro, pendolarismo, lotte operaie e storia militare. La ricerca “I Monumenti Parlano” ricompone, per la prima volta in modo unitario, origini, autori, materiali e significati di queste opere, proponendo un programma concreto di valorizzazione: targhe esplicative, illuminazione, un itinerario urbano accessibile, attività didattiche e una piattaforma digitale aperta alla comunità.

Perché questa ricerca

Tra il 1996 e il 2005, sotto la guida del Sindaco Maurizio Cerroni e, successivamente, di Antonio Ciotoli, l’Amministrazione comunale affidò a scultori di diversa provenienza — da voci locali ad artisti affermati a livello internazionale — il compito di incidere nello spazio pubblico temi universali che hanno segnato la memoria collettiva. Oggi molte di quelle opere scorrono anonime sullo sfondo urbano, in alcuni casi di fronte ad arterie stradali a traffico veicolare intenso: pochi ne conoscono genesi e significati. Restituire loro contesto e visibilità significa restituire alla città un racconto corale, condiviso e didatticamente fertile.

I quattro monumenti in breve

  • Stele ai Caduti del Lavoro di Michele Thomas (1996, marmo di Ausonia): sicurezza e vite spezzate. Omaggia i 56 ceccanesi morti sul lavoro e richiama prevenzione e responsabilità collettiva. Collocata nell’aiuola di Piazzale Bachelet.
  • Mezzo Busto del Bersagliere di Luigi Micheli (1999, bronzo): memoria militare e spazio civico. Trasforma un’area di passaggio in luogo identitario, tra storia nazionale e orgoglio locale. Posto nel giardino attrezzato situato all’incrocio tra via della Costituzione e via Madonna del Carmine.
  • Monumento a Luigi Mastrogiacomo di Antonio Greci (2001, peperino): lotte operaie e sindacali. Ricorda la tragica morte dell’operaio il 28 maggio 1962 presso la fabbrica “Annunziata”: forma sobria e rigorosa come monito civile.
  • Statua del Pendolare di Reza Olia (2005, bronzo): pendolarismo e riscatto sociale. Figura in cammino che sublima la fatica quotidiana dei lavoratori diretti a Roma nel dopoguerra. Posizionata nel giardino antistante la stazione ferroviaria di Ceccano.

Proposta

  • Targhe in metallo formato A4 con dati essenziali (titolo, autore, anno, materiale, committenza) e un testo di 80–100 parole; QR code verso schede digitali con foto, biografie, documenti e testimonianze.
  • Illuminazione radente a luce calda, pulizia dell’intorno, recupero o installazione di piccole sedute; percorsi pedonali accessibili con eventuali tappeti tattili.
  • Itinerario urbano “I Monumenti che Parlano” (20–30 minuti a piedi), mappa e segnaletica unitaria, visite guidate, podcast e audio-racconti.
  • Didattica e comunità: laboratori con le scuole, archivio di memorie orali (ex pendolari, operai, familiari delle vittime), giornata cittadina dedicata al lavoro e alla sicurezza; valorizzazione dell’anniversario della morte di Luigi Mastrogiacomo.
  • Piattaforma digitale civica sul sito istituzionale con open data (autore, anno, materiali, coordinate GPS), galleria fotografica, calendario visite e contatti.

Risultati attesi

  • Maggiore fruizione culturale dello spazio pubblico.
  • Coinvolgimento delle scuole nei percorsi di educazione civica e storica.
  • Costituzione di un archivio di memorie orali legate al lavoro, al pendolarismo e alle lotte sociali.
  • Accessibilità potenziata (percorsi senza barriere e tappeti tattili dove necessari).
  • Trasparenza e riuso dei dati (schede open data scaricabili dal sito comunale).

Conclusioni

Le quattro opere costituiscono un unico racconto civico: non semplici arredi, ma pagine scolpite della memoria collettiva. La loro valorizzazione non si esaurisce in un atto celebrativo; è un investimento educativo, turistico e sociale che rimette i cittadini — soprattutto i più giovani — al centro della storia della città.

Chiediamo alla comunità — famiglie, scuole, associazioni, imprese — di adottare questi luoghi, contribuendo alla manutenzione diffusa e alla raccolta di testimonianze. Ai media locali chiediamo di accompagnare il percorso, dando voce a storie e persone. Un patrimonio riconosciuto, illuminato e raccontato diventa un patto di cittadinanza.

Questa ricerca restituisce unità e voce a opere che appartengono a tutti. È un invito a conoscere, rispettare e tramandare.

I Ceccanesi che dissero NO! Medaglia d’Onore agli Internati Militari Italiani: nomi, storie, memoria

di Luigi Compagnoni

Sabato 20 settembre alle 11:30, nella Sala Purificato della Prefettura di Frosinone, la nostra comunità si ritrova per un gesto semplice e solenne: dire i nomi, ricordare i volti, consegnare alla memoria collettiva il “no” di chi scelse la dignità. È la cerimonia per il conferimento della Medaglia d’Onore agli Internati Militari Italiani (IMI) originari di Ceccano deportati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra, onorificenza conferita dal Presidente della Repubblica.

Saranno presenti le famiglie di Lorenzo Malizia (nato il 26/10/1920), catturato sul fronte greco-albanese nel settembre 1943 e internato nel lager VI C; di Angelo Maura (nato il 02/12/1923), deportato in uno dei campi del Distretto VI presso Bonn, in Vestfalia e di Giuseppe Staccone (nato il 2/08/1923), internato nel lager IX C. Con loro, la città abbraccia la storia di Giovanni Gianfelice (nato il 14/05/1922 a di Sonnino – allora Littoria), morto nel lager IV B: la medaglia sarà consegnata ai suoi parenti grazie all’iniziativa del nipote, Giovanni, che da oltre quarantacinque anni vive a Ceccano e che avviò la richiesta dopo un incontro pubblico sugli IMI organizzato dalla Rete delle Associazioni nel settembre 2024.

Dietro ogni nome c’è una storia che parla piano, ma che non smette di farsi ascoltare.

Angelo Maura ricordava la terribile fame sofferta in quella drammatica prigionia. In un campo vicino era prigioniera una ragazza ucraina: rischiando di persona, gli faceva arrivare qualche buccia, un tozzo di pane duro. “Mi ha salvato la vita” disse nell’incontro pubblico organizzato a Ceccano nel novembre 2011, durante la presentazione del libro “Gli Internati Militari Italiani” di Mario Avagliano e Marco Palmieri. Con lui c’erano Giovanni Del Brocco, Francesco Ardovini, Giuseppe Lucchetti: ultimi testimoni, oggi scomparsi. In quelle voci c’era ancora il dolore delle sofferenze patite dietro i reticolati sottoposti a lavori forzati e alla crudeltà degli aguzzini.

Lorenzo Malizia conobbe l’abisso nelle miniere, a Dortmund, “a millecinquecento metri sotto terra”. Sopravvissuto a un bombardamento di “fuoco amico” sul campo di concentramento da parte dell’aviazione alleata, finì in ospedale con una terribile ferita alla gamba e con la febbre che “non scendeva mai”. Un giorno, una commissione sanitaria tedesca si preparò a ispezionare i feriti: dove vedeva garze intrise di pus, decideva l’amputazione. Un cappellano militare lo sollevò dalla branda e aiutato da un commilitone che lo portò in bagno e lo tenne sulle spalle per ore, finché la commissione passò oltre. Si salvò così, del Prete non ebbe più notizie forse anch’egli scomparso poi nel turbine della guerra. Il figlio Memmo ne ha raccolto le memorie di quei drammatici fatti in un libro: basterebbe quel gesto a spiegare il significato di questa medaglia anche in ricordo di chi salvò il padre da una atroce amputazione.

Lorenzo Malizia

Giuseppe Staccone fu preso in Croazia, deportato a Stettino in Polonia. Destinato come tutti gli Internati Italiani al lavoro coatto era impiegato come falegname per costruire baracche; verso la fine della guerra lo obbligarono a scavare trincee “in prima linea” contro l’avanzata delle truppe Russe. La razione era una misera brodaglia di barbabietole il più delle volte unico pasto giornaliero. Un giorno vide impiccare due italiani per poche mele rubate: i corpi rimasero appesi al cancello del lager per settimane. Questa tragica immagine, raccontata la sera, davanti al camino, ai figli, come ci ha testimoniato il figlio Felice, costituisce ancora oggi il suo monito sulla ferocia della guerra.

Giuseppe Staccone

La storia di Giovanni Gianfelice è arrivata fino a noi grazie ad un diario segreto (che sarà pubblicato solo nel 1962 con il titolo “Il campo della Morte”) tenuto del cappellano padre Luca Maria Airoldi, nel campo di Zeithain/IV B, dove morirono 900 militari italiani. Nelle pagine che ancora oggi suscitano dolore ed emozione nello sfogliarle, Padre Airoldi riportò tutte le informazioni con l’obiettivo, finita la guerra, di poter dare notizie ai familiari sulla tragica scomparsa dei loro cari …” Giovanni giunse il 4-5-1944 dall’Arbeitskommando di Bitterfeld. Parve rimettersi, poi precipitò. Chiese i sacramenti. Rimase cosciente fino all’ultimo: “Poveri miei cari!”, sussurrò prima di spirare”. Negli anni Novanta la sua cassetta ossaria rientrò a Sonnino, accompagnata da un picchetto militare d’onore: la madre non c’era più per accoglierlo. Oggi il nipote Giovanni custodisce con affetto e dedizione le lettere e pagine del diario che non sono solo carta d’archivio, ma un patrimonio da conservare e tramandare.

Giovanni Gianfelice

Questa cerimonia parla anche di ciò che fino a pochi anni fa conoscevamo poco. Oggi sappiamo finalmente il numero esatto degli Internati Militari e dei Deportati civili di Ceccano prigionieri dei tedeschi: 213! Undici non tornarono, morirono dietro i reticolati (Felice Alternati, Domenico Battista, Vitaliano Calenne, Pietro Antonio Ciotoli, Vincenzo Del Brocco, Cesare De Santis, Michele Di Mario, Giovanni Mastrogiacomo, Alberto Misserville, Vittorio Morrone, Guido Natalino Rispoli) e per tragica ironia della sorte quattro di essi perirono a seguito dei bombardamenti alleati. Infine dei 213 Internati, sette erano civili deportati e nella trama dei racconti e delle ricerche spunta anche un volto femminile, Antonietta Gallucci, arrestata mentre lavorava alla fabbrica di munizioni di Bosco Faito e internata a Berlino: segno che la deportazione non colpì solo chi indossava le uniformi, ma l’intera società, fabbriche e famiglie comprese.

Dire “no” allora non fu un gesto astratto. Significò rifiutare di tornare a combattere sotto le insegne nazifasciste, accettando il lager pur di non tradire la propria coscienza.

Per questo, il 20 settembre, non celebriamo eroi lontani, ma cittadini, prima di essere militari, come noi – contadini, operai, artigiani, studenti – posti davanti a una scelta enorme. La medaglia che viene riconosciuta ai loro nomi è un impegno: proseguire le ricerche, colmare i vuoti, mettere a disposizione archivi e testimonianze, portare queste storie nelle scuole, nelle case, nelle piazze. Perché la memoria viva non è un museo di ricordi: è un atto di responsabilità civile.

Una ricerca sulla Villa Romana della Cardegna

Origini storiche, ritrovamenti archeologici e proposte di valorizzazione museografica

di Luigi Compagnoni, Architetto

Questa ricerca nasce per riportare al centro dell’attenzione pubblica uno dei siti archeologici più significativi – e più dimenticati – della Valle Latina: la villa romana in località Le Cocce, a Ceccano. Scoperta alla fine dell’Ottocento e riemersa con chiarezza durante i lavori dell’Alta Velocità Roma –Napoli (1996–1998), la villa è oggi interrata e non fruibile, nonostante l’eccezionalità dei dati raccolti sul campo. L’indagine propone un quadro aggiornato e multidisciplinare che tiene insieme storia, topografia e tecniche edilizie con proposte di valorizzazione e fruizione culturale dell’area archeologica. Sono stati sviluppati e approfonditi tre ambiti principali di ricerca:

  1. verifica critica delle fonti, dalle cronache di fine Ottocento all’ampia documentazione scientifica a seguito degli scavi TAV;
  2. contestualizzazione storico-topografica entro l’ager di Fabrateria Vetus (Ceccano), lungo gli assi della via Latina e della Valle del Sacco;
  3. proposta operativa per la tutela e la fruizione, con soluzioni museali e strumenti digitali innovativi ed immersivi per l’utente (HBIM/VR/AR).

Perché è importante

La tradizione locale attribuisce il complesso all’imperatore Antonino Pio:

Busto di Antonino Pio esposta al British Museum di Londra

un dato da maneggiare con prudenza a cui non è stato possibile dare certezza storica, ma coerente con la qualità delle strutture e con il ruolo del territorio in età imperiale. Gli scavi del periodo 1996–1998 a seguito delle indagini archeologiche resisi necessarie per la realizzazione del viadotto della ferrovia ad alta velocità, hanno restituito la planimetria estesa di una residenza extraurbana di grande pregio – almeno 7.500 m² messi in luce – con giardino porticato, ambienti di rappresentanza e un unicum nel panorama locale: due distinti complessi termali, serviti da sistemi di riscaldamento dell’acqua con ambienti destinati a ipocausto, vasche e praefurnia. Tra i pavimenti spicca un mosaico bicromo a tema marino (amorini su mostri marini), tipologia iconografica che conferma la destinazione d’uso degli ambienti.

Foto aerea della villa Romana riemersa dopo gli scavi effettuati nel 1996-1998

L’approvvigionamento idrico era garantito dalla sorgente del Morrecine e da un acquedotto ipogeo (tramite condutture interrate); le murature documentano fasi diverse di costruzione (opus latericium e listatum, tecniche edilizie romane), indizio di un’evoluzione lunga tra età repubblicana e tardo imperiale. L’ipotesi di una trasformazione in mansio (stazione di posta) lungo la via Latina nel III secolo spiega l’ampliamento dei servizi termali e la monumentalità degli accessi.

Che cosa non funziona oggi

Dopo gli scavi, l’area è stata ricoperta per motivi conservativi e non è fruibile; i reperti sono in deposito e il museo comunale previsto a Castel Sindici non è mai entrato in funzione. La mancanza di segnaletica, perimetrazione e un progetto unitario di valorizzazione ha consegnato il sito all’oblio, pur in presenza di un interesse scientifico solido e di materiali d’archivio di prim’ordine.

Che cosa propone la ricerca

  • Parco archeologico a fruizione controllata: riesposizione selettiva (aree chiave come il peristilio e mosaici), percorsi protetti, pannellistica bilingue e dispositivi per l’accessibilità universale.
  • Museo civico: allestimento modulare a Castel Sindici per i reperti della villa della Cardegna e del comprensorio, con sezioni didattiche e percorsi tattili.
  • Ricostruzione digitale: modello HBIM e ricostruzioni VR/AR per “rendere visibile l’invisibile” sia in loco sia online, sovrapponendo la ricostruzione virtuale alle strutture oggi interrate.
  • Rete territoriale: integrazione con il paesaggio culturale e storico del territorio (centro storico, parchi e percorsi naturalistici, Castello dei Conti ecc..), eventi tematici e programmi educativi con scuole, associazioni e università.
Castel Sindici
Cantine di Castel Sindici

Conclusioni: innovazione e sostenibilità

Il valore aggiunto non è solo nella sintesi dei dati storici e archeologici analizzati, ma nella messa a sistema di strumenti e attori: tutela archeologica, pianificazione urbanistica, mediazione culturale, innovazione digitale. La ricerca traduce la “grande villa nascosta” in un progetto concreto e sostenibile, in linea con le migliori pratiche italiane su siti analoghi, per trasformare un’eredità interrata in un volano di identità e sviluppo locale. La Villa della Cardegna è un bene di rango, ampiamente documentato e tecnicamente interpretabile, che attende solo di essere restituito alla collettività con metodi contemporanei. Questo lavoro offre il percorso: basi storiche verificate, lettura architettonica e un piano operativo che unisce parco, museo e digitale, chiamando istituzioni e cittadinanza a una responsabilità condivisa.

La Villa Romana della Cardegna a Ceccano emerge, alla luce di questa ricerca, come un sito di eccezionale rilievo storico-archeologico purtroppo non adeguatamente valorizzato.

Tuttavia, questa ricerca delinea una serie di azioni concrete e strategie che – se attuate – potrebbero invertire la rotta. La valorizzazione della Villa della Cardegna può e deve passare come detto in precedenza  per un approccio multidisciplinare: urbanistico, pianificando il territorio in funzione della tutela dei siti presenti sul territorio comunale; tecnologico, sfruttando la realtà virtuale e gli strumenti digitali per rendere fruibile l’invisibile; sociale, coinvolgendo cittadini e associazioni in una gestione partecipata; economico-culturale, integrando l’offerta archeologica in un sistema turistico locale più ampio.

Il caso di Ceccano potrebbe diventare un modello virtuoso di recupero di identità territoriale: un comune industrializzato della Valle del Sacco che oggi attraversa un profondo ed inarrestabile declino economico che riscopre nel suo sottosuolo agrario le tracce di un passato glorioso e le utilizza per costruire un futuro sostenibile, a misura di comunità e aperto al mondo.

Qui il testo completo della ricerca:

Nota: la ricerca è dedicata alla memoria degli archeologi Desideria Viola e Mauro Bombelli, prematuramente scomparsi, che attivamente lavorarono al sito e ai quali devo molte delle informazioni storiche e soprattutto idee e proposte per la musealizzazione dei reperti a Castel Sindici.

Fonti e Bibliografia:

  • Michelangelo Sindici, Ceccano, l’antica Fabrateria – Studi storici con documenti inediti, Roma, Tip. A. Befani, 1893, pp. 55-62.
  • U.S.A.A.F. (United States Army Air Force), foto aeree scattate durante la II Guerra mondiale sul territorio di Ceccano nel gennaio 1944.
  • Angelo Compagnoni, “Diventare un uomo” ,1982-Editrice Monteverde, pag. 32.
  • Sabina Antonini, Fabrateria Vetus, un’indagine storico-archeologica, 1988-Ed. Quasar pag.40 
  • Giovanna Rita Bellini, Francesca Sposito, Pavimenti inediti dalla villa romana in località Cardegna (Ceccano, FR),in Atti del XVI Colloquio AISCOM (Associazione Italiana per lo Studio del Mosaico), 2011, pp. 571-582 .
  • Giovanna Rita Bellini, Simon Luca Trigona, Le terme della villa di Cardegna (Ceccano, FR), in Atti del Convegno “Sorgenti e Terme nella Valle del Sacco, Soprintendenza Archeologica del Lazio, 2011 (abstract in scheda TESS online) pp. 304-313.
  • Piero Alviti (a cura di), Ceccano e il patrimonio archeologico abbandonato, articolo sul blog Pietroalviti.com, 29/07/2013 – Ceccano ,la pianta della villa romana di Cardegna,18/10/2016 –Ceccano, chi controlla i 30 mila reperti archeologici di Palazzo Antonelli,13 /07/2025.
Ricostruzione 3 D della villa romana della Cardegna

Il vecchio cimitero di Ceccano (Memoria, Progetto, Comunità)

di Luigi Compagnoni

Un cimitero non è solo un’infrastruttura: è un archivio a cielo aperto della città, un luogo dove storia, urbanistica, arte e memoria collettiva si intrecciano. La ricerca che presentiamo ricostruisce, con rigore documentale e visione progettuale, la vicenda del vecchio cimitero di Ceccano dalle origini ottocentesche fino alla stagione degli ampliamenti degli anni Trenta del novecento, proponendo al tempo stesso un percorso di tutela e di valorizzazione concreta.

Perché questa ricerca

Negli ultimi decenni i cimiteri storici italiani sono tornati al centro dell’attenzione come beni culturali: spazi identitari da conoscere, proteggere e rendere fruibili. Il lavoro si colloca in questa prospettiva e si rivolge a cittadini, amministratori, scuole e studiosi con un duplice obiettivo:

  1. ricostruire la storia insediativa e architettonica del cimitero, evidenziando scelte, idee e protagonisti;
  2. tradurre la conoscenza in azione, con proposte operative per restituire dignità, leggibilità e funzioni pubbliche a un luogo che appartiene a tutti.

L’arco della storia (1868–1937)

La ricerca individua sei fasi storiche ben distinte, concentrandosi sulle prime quattro (1868–1937) e tralasciando, almeno per il momento, gli interventi di ampliamento moderni in parte ancora in corso.

  • 1868–1899 – Nascita del cimitero extraurbano: un impianto a terrazze su quattro ripiani, muri di cinta e poderosi sostegni sul fronte a valle; il sito delle “Croci del Calvario” lega da subito l’area a un immaginario devozionale.
  • 1902–1910 – Il piano lungimirante di Annibale Sprega: fognature per le acque meteoriche, consolidamento dei muri, ossario, nuovo ingresso monumentale, alloggio del custode. Un progetto organico (e anticipatore) che resta sulla carta per difficoltà amministrative e finanziarie.
  • 1922–1924 – La “messa in sicurezza” di Francesco Amedeo Gonzales: ricostruzione dei tratti pericolanti dei muri di sostegno e migliorie interne (scale, muretti), interventi risolutivi per salvaguardare il nucleo antico.
  • 1934–1937 – L’ampliamento razionale di Marino Marini: il viale d’accesso diventa asse scenografico e ordinatore, affiancato da un doppio filare di alberi; una scalinata monumentale conduce a un’esedra; l’insieme è organizzato in insulae inserite in una maglia di viali interni che si intersecano ortogonalmente. In questa stagione matura anche l’attuale volto del portale, con un possibile apporto di Giovanni Jacobucci (bozzetti e sensibilità scultorea), a testimonianza di un dialogo progettuale che arricchisce la fisionomia del complesso.

Un museo a cielo aperto

Epigrafi, simboli, cappelle ed edicole raccontano costumi, linguaggi e stili di più generazioni. Tra le sepolture compaiono figure che collegano Ceccano a vicende nazionali, accrescendo il valore civico del luogo. Il cimitero emerge così come bene pubblico da leggere e da insegnare: un “manuale” di storia locale che merita percorsi interpretativi, didattica e cura.

Tutela: dal riconoscimento alla gestione

La parte storica del cimitero possiede i requisiti per la verifica dell’interesse culturale (VIC) e l’eventuale vincolo da parte della Soprintendenza. L’avvio dell’iter – corredato da documentazione storica e fotografica – costituirebbe un primo, decisivo passo: tutela preventiva, qualità dei progetti, coerenza negli interventi. La protezione giuridica, tuttavia, è un punto di partenza: occorrono una strategia di gestione, risorse e partenariati (Comune, enti, scuole, associazioni).

Tre proposte immediate e sostenibili

La ricerca non si ferma alla diagnosi: traduce la storia in azioni concrete, a impatto visivo e civico.

  1. Riqualificare il viale d’accesso
    Rimozione dell’asfalto e pavimentazione in pietra locale; doppio filare di essenze a crescita controllata; illuminazione con lampioni con un design sobrio che si integrino all’ambiente circostante; segnaletica discreta (anche con QR o altre tecnologie che integrano la realtà aumentata) per un “itinerario delle memorie”. Un intervento leggero che restituisce solennità e leggibilità all’asse principale, coerente con la visione di Sprega e Marini.
  2. Connettere il cimitero al Parco naturalistico adiacente
    Uno‑due varchi pedonali tra il cimitero storico e il parco naturalistico realizzato nel passato dall’amministrazione comunale con fondi europei attraverso il recupero delle ex cave di via Morolense, rigenererebbero entrambi gli spazi: il cimitero si aprirebbe a un percorso di contemplazione nella natura; il parco tornerebbe vivo come “parco della memoria”, con potenziale didattico e sociale.
  3. Restaurare l’emiciclo monumentale come Sacrario dei Caduti
    Restauro conservativo di scalinata ed esedra anni Trenta; apparati memoriali con i nomi dei caduti; accessibilità e illuminazione per cerimonie civili. L’emiciclo ritroverebbe la sua funzione simbolica e diventerebbe tappa culminante dei percorsi di visita.

Un progetto per la città

Questa ricerca propone un patto tra memoria e futuro: conoscere per tutelare, tutelare per rendere fruibile. Il vecchio cimitero può diventare Cimitero Monumentale Comunale: un luogo curato, leggibile, frequentato con rispetto; una risorsa culturale per scuole e famiglie; una scena dignitosa per le ricorrenze civili; un tassello qualificante delle politiche urbane.

Invito alla lettura (e all’azione)

Nel testo completo il lettore troverà cronologie, analisi dei progetti che è stato possibile visionare e consultare nell’archivio storico comunale, profili dei progettisti e indicazioni operative. È un invito a guardare oltre il cancello: a riconoscere nel cimitero un bene comune che ci racconta e ci unisce. Trasformare questa consapevolezza in scelte amministrative, progettuali ed educative è oggi un atto di responsabilità verso chi ci ha preceduti e verso le generazioni che verranno.

Qui il file con la ricerca completa:

Ringraziamenti:

  • Felice Di Mario, ex custode del cimitero comunale;
  • Maurizio Lozzi, Pasqualino Colagiacomo e GianMarco De Angelis, Archivio Storico Comunale di Ceccano;
  • Giulia Aversa, elaborazione grafica per le proposte di valorizzazione;  
  • Andrea Ciotoli, consulenza tecnica perle proposte di valorizzazione;
  • Francesco Maura per le riprese fotografiche.

 Fonti d’archivio e bibliografia

  • Stefano Levati-Fuori le Mura, la genesi dei cimiteri extraurbani nell’Italia napoleonica (1806-1814). Ed. Viella ,2024
  • Archivio Storico del Comune di Ceccano (ASCC), Fondo Lavori Pubblici – Cimitero comunale.
    Lettera di incarico ad Annibale Sprega, 11 marzo 1903; Relazione tecnica di A. Sprega, 27 agosto 1904; Relazione tecnica di A. Sprega, 18 ottobre 1909; Relazione s.d. (ascrivibile al 1910) con pianta e prospetto del nuovo ingresso; Nota commissariale sulla somma urgenza, 13 settembre 1923; Elaborati progettuali e tavole di F. A. Gonzales, 1923‑1924; Verbale di collaudo del Regio Genio Civile di Frosinone sui lavori di consolidamento, 23 febbraio 1924; Progetti di ampliamento e sistemazione del cimitero, Ing. Marino Marini (tavole e planimetrie generali), 1934‑1937; Disegno a matita di ossario con timbro “Studio Arch. Giovanni Jacobucci” (s.d., ca 1937); Planimetria catastale, 1939.
  • U.S.A.A.F. (United States Army Air Force), foto aeree scattate durante la II Guerra mondiale sul territorio di Ceccano nel gennaio 1944.
  • Carlo Cristofanilli-Dizionario enciclopedico Ceccanese-Edito A.C. Ceccano 1992. Voci “Campusantu” e “Calvario”.
  • Sprega Annibale – attività a Roma nei primi del ’900 (per inquadramento biografico e professionale): cfr. E. C. Falqui, Modernizzare la capitale. Roma per parti, 1907‑1916, in Roma moderna e contemporanea.
  • Jacobucci, Giovanni (1895–1970) di GiannandreaJacobucci. Roma: Edizioni Kappa, 1996.
  • Territori, periodico dell’ordine degli Architetti della provincia di Frosinone settembre-dicembre 2009 anno XVI n° 21, dedicato alla figura dell’Arch. Giovanni Jacobucci.
  • D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – Codice dei beni culturali e del paesaggio.
    In particolare: art. 10 (beni culturali) e art. 12 (verifica dell’interesse culturale).
  • Pietroalviti.com – «Il cimitero racconta» a cura dell’Architetto Vincenzo Angeletti

La scomparsa di Tommaso Pizzuti, l’ultimo ceccanese sopravvissuto degli Internati militari nei lager nazisti

Oggi termina la straordinaria avventura di un uomo che, con la sua storia, ha rappresentato la testimonianza vivente di una triste pagina per la memoria della nostra città. Tommaso Pizzuti, classe 1918, è scomparso nella notte, ultimo sopravvissuto di una delle pagine più dolorose e tragiche del secolo scorso, la prigionia dei militari italiani nei lager nazisti.

Abbiamo raccontato la sua straordinaria storia con un’intervista già pubblicata nel maggio del 2024 (qui il link: https://www.facebook.com/groups/resistenzaimi/posts/10161462810279208/),e soprattutto con la partecipazione alla Giornata della Memoria del 27 gennaio scorso, quando, alla presenza del Prefetto della provincia di Frosinone e del Commissario Straordinario del Comune di Ceccano, gli fu conferita la Medaglia d’Onore prevista dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per i cittadini italiani, militari e civili, deportati e internati nei lager nazisti per essere destinati a svolgere lavoro coatto per l’economia di guerra tedesca.

Qui il link: https://www.facebook.com/luigi.compagnoni.1/posts/pfbid02f3bc5VhSZzVvB3c6AK1mmizhfwb3AP8Ncz3nCTqLfppernTtc4GLoKS2fK94nPV3l

Dopo l’armistizio del 1943, Tommaso era tra le centinaia di migliaia di connazionali disarmati dai tedeschi e posti di fronte a una tremenda scelta: continuare la guerra coi nazifascisti o essere deportati. Gran parte di loro, tra cui Tommaso, non aderì alla Repubblica di Salò e fu reclusa con lo status di “Internati militari italiani”, voluto da Hitler per sottrarli alla Convenzione di Ginevra e sfruttarli liberamente per i lavori forzati. Il rifiuto a aderire alla Repubblica di Salò viene ormai riconosciuto da tutti gli storici come atto fondante della Resistenza italiana al nazi-fascismo. I militari ceccanesi prigionieri nei lager nazisti, dislocati in Germania, Austria, Polonia e Cecoslovacchia, furono complessivamente 236, di questi, sette erano civili, compresa una donna, Antonietta Gallucci. Dei 236 I.M.I., soltanto uno di essi accettò le offerte di rimpatrio per chi avesse aderito ai proclami della nuova Repubblica fascista, mentre il rifiuto costerà la vita a 11 ceccanesi, morti dietro i reticolati dei lager nazisti.

Una pagina della Seconda Guerra Mondiale a lungo trascurata ma tornata a vivere anche a Ceccano grazie a toccanti testimonianze dirette dei reduci come lui, imprigionato a venticinque anni e tornato a casa in drammatiche condizioni psicofisiche.

Il debito della nostra città non si estinguerà facilmente ed è un riconoscimento alla dignità e al sacrificio di chi ha sofferto per riscattarci dall’oppressione dittatoriale. Ringraziamo Tommaso per avercelo ricordato con il suo spirito di ribellione.

Luigi Compagnoni

Storie e vicende dei Partigiani e Patrioti ceccanesi nella lotta al nazi-fascismo in Italia e in Europa (1943-1945)

di Luigi Compagnoni

La partecipazione dei ceccanesi alla Resistenza non si sviluppò soltanto in Ciociaria, ma ne registrò la presenza attiva in altri contesti territoriali in Italia e all’estero: Albania, Isole Ionie della Grecia e nei lager per internati militari dislocati in Germania, Polonia, Austria e Cecoslovacchia. Oggi, ad 80 anni dalla fine della guerra, è stato possibile finalmente ricostruire un quadro esatto degli uomini e delle donne di Ceccano che scelsero di combattere e contrastare l’oppressore non solo nel proprio territorio, ma anche nel resto d’Italia e nei paesi europei che soggiacevano alla brutale dittatura nazista, grazie ad una capillare azione di ricerca, con il fondamentale supporto degli archivi storici resi accessibili on-line al pubblico.

Sul movimento partigiano che si sviluppò a Ceccano e sui Monti Lepini, soprattutto sul versante carpinetano, molto si è scritto, anche se con ritardo, se si pensa che la prima celebrazione del 25 aprile avvenne a Ceccano “solo” nel 1969, cioè 25 anni dopo la fine della guerra, con l’irrimediabile perdita di tante testimonianze dirette dei protagonisti di quelle vicende, che soltanto grazie alle ricostruzioni storiche dei ricercatori locali ha impedito di perderne totalmente le tracce nella memoria locale. Il primo libro che descrive in maniera documentata le vicende belliche e quindi anche il movimento partigiano che riguardarono Ceccano, curato dal Prof. Angelino Loffredi, è del 1990!

Ancora più complessa si è rilevata la ricostruzione storica della partecipazione dei Ceccanesi con ruoli attivi e di fondamentale importanza nella Resistenza romana, di cui soltanto da pochissimi anni si sta rivalutando il ruolo svolto.

Tornando ai presupposti che hanno consentito di ricostruire storie e vicende dei Partigiani e Patrioti ceccanesi che si schierarono contro gli oppressori dopo l’8 settembre del 1943, nei primi anni del dopoguerra con decreto ministeriale furono istituite delle commissioni regionali per il riconoscimento della qualifica di partigiano o di patriota di chi aveva partecipato alla Resistenza. Per Ceccano furono catalogate ben 126 schede, come è stato possibile verificare nell’Archivio di Stato, portale “Ricompart”, con i dati dei richiedenti, e su questa abbiamo avuto già un primo riscontro sull’effettiva consistenza numerica della partecipazione dei ceccanesi alla guerra di Liberazione in Ciociaria.

A Ceccano erano presenti due raggruppamenti partigiani, uno guidato dall’Avv. Giuseppe Ambrosi, l’altro da Romolo Battista, uomini dalla forte personalità in perenne contrasto per l’egemonia del movimento partigiano locale. Contrasto che proseguì anche nel dopoguerra, che non era riconducibile all’appartenenza politica ma dettata da contrasti personali. L’Avvocato Ambrosi fu l’estensore della relazione inviata subito dopo la fine del conflitto al Ministero della Guerra, così suddivisa con i relativi nominativi: 

– elenco degli informatori e collaboratori

– elenco dei patrioti meritevoli di premi in denaro, ricompense e sovvenzioni

-aggiunta all’elenco nominativo dei patrioti meritevoli di premio in denaro, sovvenzioni e ricompense

-aggiunta all’elenco dei patrioti collaboratori

-elenco nominativo dei patrioti morti ed elenco nominativo dei patrioti feriti e mutilati

Parliamo di un totale di 187 ceccanesi attivi durante la Resistenza, secondo gli elenchi di Ambrosi. Gli elenchi però non menzionano i ceccanesi attivi nella Resistenza a Roma e nel resto d’Italia, né tantomeno i soldati internati nei lager nazisti o resistenti a Cefalonia o in Albania.

Basandosi invece sull’analisi delle schede del portale “Ricompart” i numeri sono diversi: i partigiani ceccanesi ai quali viene riconosciuta la qualifica di Partigiano combattente sono effettivamente 22, di cui 2 caduti, cui vanno aggiunti 8 Partigiani non originari di Ceccano che aderiscono alle formazioni locali e 13 Patrioti, numeri ben lontani dagli elenchi inseriti nella relazione dell’Avv. Ambrosi. Al di là del ridimensionamento della consistenza numerica operante a Ceccano, il valore dei ceccanesi nella Resistenza, dall’analisi delle schede, emerge ancora più forte e di valore. Basti pensare ad esempio che a Roma sono presenti in attività partigiane 16 ceccanesi appartenenti però tutti a partiti politici: cinque risultano iscritti al Partito Comunista, tre al Partito Socialista, due al Partito d’Azione, al Fronte Militare Clandestino e a Bandiera Rossa ed infine in due formazioni operanti nel resto della regione, 1 a Poggio Mirteto e 1 partigiano nella brigata Ceprano. La resistenza a Roma dei ceccanesi trova i suoi due martiri nelle figure di Luigi Mastrogiacomo e Francesco Bruni, massacrati dai tedeschi in due distinte azioni di rappresaglia.

Luigi Mastrogiacomo, dopo l’armistizio dell’8 settembre, diventa un membro attivo nella resistenza romana collaborando con il nucleo di intelligence guidato dal tenente Maurizio Giglio (Medaglia d’Oro al valore militare) denominato servizio informazioni “Radio Vittoria”. La trasmittente è custodita da Luigi sul galleggiante del Ministero delle Finanze ormeggiato sul Tevere ed è utilizzata dal tenente Giglio per inviare notizie di carattere militare al comando alleato bloccato sul fronte di Anzio e Nettuno.

Francesco Bruni, appartenente al Partito d’Azione, figlio di Regina, anch’essa attiva nella  resistenza come il resto della famiglia, tutti originari di Ceccano, viene barbaramente ucciso dalle S.S. in un agguato in via Nomentana, e la sua camicia traforata dai proiettili è esposta come tragica testimonianza nel Museo della Liberazione a Roma, nello stesso edificio in via Tasso,  teatro delle sevizie e torture alle quali erano sottoposti gli uomini della Resistenza romana che cadevano  nelle mani degli aguzzini fascisti.

Poco nota è anche la presenza dei ceccanesi nella guerra di liberazione in Piemonte. All’indomani dell’8 settembre tanti soldati cercarono con tutti i mezzi di tornare a casa, ma una parte consistente di essi preferì combattere l’invasore unendosi alle brigate partigiane operanti nelle Langhe e nelle valli piemontesi, in una guerra senza esclusione di colpi così come raccontata da Beppe Fenoglio in uno dei suoi libri più famosi “Il partigiano Johnny”. Orlando Nicolia (classe 1921) e Angelo Ferrante (1920) nella Brigata Grinet, dove Angelo raggiunse il grado di commissario distrettuale, Gino Colafrancesco (1924), nome di battaglia ‘Berto’, nella Brigata Garibaldi, Augusto D’Annibale (1921), nome di battaglia ‘Tigre’, arruolato nella brigata Sap Carando, Vincenzo Cicciarelli (1921) nella 104^ Brigata Verde ed infine con la qualifica di patriota, Giovanni Cerroni (1916), nella 3^ Divisione Alpi.

Mentre del tutto ignorata, fino ad oggi, la partecipazione del soldato ceccanese Giulio Pirri (classe 1911) nell’insurrezione della popolazione di Lanciano, in Abruzzo, che a partire dal 6 ottobre del 1943 scatenò contro i tedeschi nel tentativo di cacciarli dalla città. Fece seguito una durissima rappresaglia contro la popolazione. Il bilancio dell’insurrezione fu di 47 vittime tra ufficiali e militari di truppa tedeschi e 11 partigiani e 12 civili uccisi. La rivolta fu guidata dal partigiano Trentino La Barba, che cadde in combattimento e per il suo sacrificio fu decorato di medaglia d’oro al valor militare, mentre Pirri rimase ferito nel corso della battaglia guadagnandosi sul campo la qualifica di partigiano combattente.

Nei paesi europei ancora sotto il dominio delle truppe naziste, sono venute alla luce vicende di resistenza che soltanto l’accesso alla documentazione oggi consultabile nel portale “Ricompart” ha consentito di conoscere: Domenico Del Brocco (classe 1919), superstite dell’eccidio della divisione Acqui di stanza sull’isola di Cefalonia, in Grecia, che dopo l’armistizio non si arrese ai tedeschi e resistette per circa due settimane fino a capitolare e dare luogo al massacro di oltre 5.000 soldati Italiani. I superstiti, compreso Del Brocco, furono trasferiti nei lager in Germania da dove fu liberato dalle truppe russe nel febbraio del 1945, per trovare la morte nel successivo mese di novembre per fatti di guerra non meglio specificati nel suo foglio matricolare. Oggi di Domenico Del Brocco non c’è traccia sulle lapidi dei caduti del monumento cittadino, ma la sua partecipazione attiva nella resistenza ai tedeschi a Cefalonia gli fu riconosciuta da parte della commissione istituita già nel 1947 che lo qualificò come partigiano combattente.

In Albania, le truppe italiane lì presenti alla data dell’armistizio non vollero arrendersi all’esercito tedesco, e si costituì con 170 soldati volontari il battaglione “Antonio Gramsci”, che si unì all’esercito di liberazione del Paese. In questo reparto, guidato da un leggendario fornaio toscano, Terzilio Cardinali, Medaglia d’Oro al valor militare, si aggregò il ceccanese Felice Bucciarelli (1911), che combatté a fianco dei suoi commilitoni contro i nazisti ed ebbe l’onore, assieme alla sua brigata, di sfilare per primi nella Tirana liberata come segno di riconoscenza dell’intero popolo albanese.

Infine, per avere un quadro completo della resistenza italiana nel 1943-1945, va senz’altro citata la vicenda degli I.M.I. (Internati Militari Italiani), di cui abbiamo già scritto in passato soprattutto a proposito del significato storico del rifiuto della maggioranza di loro a aderire alla Repubblica di Salò come atto fondante, ormai riconosciuto da tutti gli storici, della resistenza italiana al nazi-fascismo. I militari ceccanesi prigionieri nei lager nazisti, dislocati in Germania,Austria, Polonia e Cecoslovacchia, furono complessivamente 236, di questi,sette erano civili, compresa una donna, Antonietta Gallucci, che fu prelevata dalla fabbrica di munizioni di Bosco Faito, accusata di azioni di sabotaggio e internata in un lager a Berlino. Dei 236 I.M.I., soltanto un militare aderì alle offerte di rimpatrio per chi avesse aderito ai proclami della nuova Repubblica fascista, mentre il rifiuto costerà la vita a 11 ceccanesi, morti dietro i reticolati dei lager nazisti.

Spero che la completa ricostruzione storica della partecipazione dei ceccanesi alla Resistenza aiuti finalmente a conciliare, anche nella nostra città, quello spirito di ribellione alla base del riscatto dall’oppressione dittatoriale che contribuì alla liberazione e, soprattutto, alla nascita della democrazia e della libertà nel nostro Paese.

La drammatica storia di Luigi Di Mario, da vittima innocente di una rappresaglia tedesca a Ceccano, al lavoro coatto per la propaganda di Goebbels 

di Luigi Compagnoni

Il 27 gennaio scorso durante la manifestazione “il giorno della memoria” organizzata dalla Prefettura di Frosinone sono state consegnate le Medaglie d’Onore ai cittadini Italiani, militari e civili, deportati e internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra. Per la nostra città erano presenti i familiari di sei ex internati oggi scomparsi ed uno ancora vivente, Tommaso Pizzuti classe 1918, di cui abbiamo già raccontato della sua drammatica esperienza di prigionia. Di questi, soltanto uno risultava censito con lo status di civile al momento della cattura da parte dei tedeschi e nonostante la giovanissima età subì la stessa dura prigionia dei soldati. Parliamo  di Luigi Di Mario la cui storia di ex deportato civile , fino ad oggi poco nota a Ceccano, è stato  possibile ricostruire sulla scorta  dei ricordi del figlio Felice , ex dipendente comunale ,sulle notizie tratte dalle schede degli ex IMI  conservate nell’ archivio tedesco di Arolsen e soprattutto sulla base della descrizione di eventi ed episodi bellici accaduti a Ceccano nel 1943-44, così come riportati in alcuni passi dei libri  “il dolore della memoria” di Angelino Loffredi e Lucia Fabi e la “La Badia nella tormenta“ di Padre Gioacchino Passionista , fatti che coinvolsero un giovane ragazzo  fino a sprofondarlo  dietro i reticolati  di uno dei campi di concentramento nazisti  più tristemente famosi  per la crudeltà riservata agli internati: Dachau!

Luigi Di Mario nasce a Ceccano nel 1925 e all’epoca dei fatti che lo coinvolsero ha appena compiuto 18 anni, il concatenarsi di una serie di circostanze ed eventi lo rendono vittima inconsapevole di una durissima rappresaglia attuata dai tedeschi a Ceccano nella contrada Maiura di cui soltanto oggi è possibile ricostruire la sequenza cronologica alla luce delle cause scatenanti e il contesto che lo determinarono così come descritto nei libri di memoria storica locale citati.

A Ceccano erano presenti degli sparuti gruppi partigiani a contrastare i tedeschi e nel pomeriggio di domenica 20 novembre 1943 compiono un atto incredibile e sostanzialmente autolesionista. In perlustrazione nelle contrade Maiura e Cardegna incontrano due soldati tedeschi e fra questi un maresciallo. Li disarmano, li privano degli stivali e li inviano a piedi nudi presso il comando di appartenenza dislocato in località Le Cocce nella proprietà Mastrogiacomo. Ma commettono anche una bravata lasciando un biglietto firmato “Fra Diavolo” in cui sfidano i tedeschi a battersi presso la Badia il giorno appresso. La velleitaria azione dei partigiani si cala in una contrada dove la presenza dei tedeschi è  particolarmente numerosa infatti nel raggio di pochi chilometri sono acquartierati in ben cinque alloggiamenti presso fabbricati requisiti ai proprietari  con un reparto di sussistenza  che si erano già resi responsabili di razzie e efferati delitti nei confronti della popolazione civile e l’indomani, per vendicare  l’affronto subito , scatenano una capillare  azione di rappresaglia con circa 200 soldati che perlustrano le zone circostanti le due contrade  fino a spingersi sopra il crinale di monte Siserno .

Questo l’antefatto, nel primo pomeriggio del giorno dopo, durante l’azione  di rastrellamento attuata dai Tedeschi , Luigi si aggira   come  tanti suoi coetanei alla ricerca di qualcosa per sfamarsi poco lontano dalla sua abitazione , lungo l’attuale strada statale Frosinone-Gaeta, a poche centinaia di metri dall’incrocio che porta alla Badia dei padri Passionisti, del tutto  ignaro di ciò che è successo il giorno prima e soprattutto dell’azione di rappresaglia che i tedeschi stanno mettendo in campo .Il punto preciso della sua posizione , ci è stato indicato dal figlio Felice, si trova in corrispondenza  di un ponticello  che all’epoca  incanalava l’acqua di un piccolo fossato verso il Sacco , oggi risulta quasi del tutto interrato , da quel punto è possibile gettare lo sguardo per un lungo tratto di strada  fino all’incrocio con l’attuale via della Valle e oltre. Luigi vede la polvere sollevata dalla camionetta tedesca sulla strada -allora brecciata- mentre si avvicina e si impaurisce a tal punto che seguendo un naturale istinto cerca riparo nel ponticello sottostante ma i suoi movimenti sono stati già notati dai militari che equivocando sul suo atteggiamento, lo raggiungono e con forza lo spintonano sul mezzo.

Luigi tenta disperatamente di far capire che non ha fatto nulla contro i soldati ma la difficoltà di comprensione della lingua rende impossibile ogni dialogo ma soprattutto considerando la particolare durezza del reparto a cui appartenevano i militari tedeschi la sua sorte appare segnata! Il povero Luigi viene portato direttamente nel carcere di Frosinone. A differenza delle  altre vittime della rappresaglia che invece restano prigionieri a Ceccano e nei giorni successivi  grazie  all’intercessione di Padre Gioacchino Passionista  saranno liberati .Gli eventi e circostanze negative si accaniscono ancor di più verso Luigi nonostante  la  sua totale estraneità ad attentati contro il nemico tedesco , da Frosinone senza che nessuno sia a conoscenza delle sue sorti o possa intervenire a sua difesa , viene trasferito prima a Pico , dove mani compassionevoli  gli metteranno una giacca fuori misura sulle gracili e tremolanti spalle di ragazzo,poi a Roma da dove con un treno piombato verrà trasferito assieme ad altri  sventurati in Germania dove arriverà nel gennaio del 1944 per essere internato nel famigerato lager di Dachau a pochi chilometri da Monaco di Baviera . Il trattamento che le guardie del lager riservano al giovane ragazzo sono le stesse riservate ai militari internati, i ricordi di Luigi, come ci racconta il figlio Felice nei rari momenti che riusciva ad aprirsi in famiglia nel ricordare la sua prigionia, parlavano di sevizie e continue percosse anche per i fatti più banali che sommato a privazioni di una misera razione alimentare lo sprofondano nella più cupa disperazione!

In questa  drammatica sequenza di eventi che  inconsapevolmente travolgono Luigi fino a farlo precipitare in un  lager nazista ,  accade  finalmente una circostanza favorevole e del tutto inattesa :  un giorno mentre  è addossato ad un reticolato e maneggia nella tasca le poche bucce di patata  che è riuscito a racimolare, durante un ispezione un ufficiale tedesco (nei ricordi di Luigi … “ aveva sul  petto tante  medaglie” ) gli fa segno di avvicinarsi , Luigi titubante esegue  di malavoglia l’ordine , pensando forse  ad una perquisizione per le poche bucce di patata che aveva addosso  , e dopo essere stato osservato per qualche minuto dal gerarca nazista viene prelevato dal lager  .

La sua nuova destinazione, dopo alcuni mesi di permanenza a Dachau, è nella vicina Monaco di Baviera, sempre destinato al lavoro coatto ma questa volta non in una fabbrica o miniera come destinato ad altri internati italiani ma al centro di produzione cinematografica BavariaFilmKunst , il più importante centro di propaganda nazista che lo stesso Hitler incentivava con ingenti risorse finanziarie per celebrare la gloria del III° Reich. Il protagonista assoluto della macchina  propagandista fu  Joseph Goebbels, braccio destro del fuhrer , che istituì la BavariaFilmkunst nel 1939 , la Germania nazista fu così in grado di scatenare anche  attraverso  lo schermo la sua grande offensiva  militare ed ideologica .Luigi è addetto assieme ad altri  deportati Italiani , ricordava in particolare tale “Macera Pasquale” originario di S. Giorgio a Liri, all’ inserimento delle bobine per la proiezione dei film che la propaganda nazista visiona in anteprima e diventa muto testimone dell’ennesima follia nazista  protesa nella vana ricerca di affermare la  supremazia razziale e ideologica del III° Reich sul resto del mondo .

Il centro di produzione cinematografica ha continuato la sua vita ed oggi si chiama Bavaria Filmstadt e costituisce uno dei più grandi complessi cinematografici e televisivi d’Europa ed è diventato un centro di attrazione turistica, frequentato annualmente da circa 300.000 visitatori ma della produzione dei film nazisti e della presenza dei deportati durante il periodo bellico si è perso il ricordo.

Luigi viene liberato dagli Americani nell’aprile del 1945 e nel mese di luglio dello stesso anno, riesce finalmente a tornare a Ceccano portandosi nel cuore la sua drammatica esperienza vissuta in giovanissima età e che lo accompagnerà per tutta la sua breve vita, infatti dopo aver lavorato come operaio nel saponificio Annunziata, muore nel 1977 a soli 52 anni.

La Ceccano antica nei disegni di Lorenzo Cecconi, allievo del Tiratelli

di Luigi Compagnoni

La straordinaria vicenda che vide sul finire dell’Ottocento, famosi pittori italiani interessarsi a ritrarre nei loro quadri scene di vita in costume della Ceccano dell’epoca, angoli caratteristici del paese o i paesaggi della circostante campagna, offre continuamente nuovi spunti di studio e approfondimento.

La figura artistica principale attorno al quale ruota l’interesse di altri pittori a spingersi oltre Roma e alla sua campagna per dipingere scorci di un paese della Ciociaria è rappresentata da Aurelio Tiratelli che a Ceccano strinse un forte legame con la comunità come testimoniato dalle tante opere che qui realizzò.

Tiratelli esordì come scultore ma ben presto passò alla pittura riscuotendo sempre maggiore successo oltre che dal pubblico anche dalla critica e strinse forti rapporti con tanti pittori suoi contemporanei come Pio Joris, una delle figure più importanti nel panorama della pittura romana dell’Ottocento, in particolare nell’ambito dell’esperienza della pittura di paesaggio. Di Joris, cognato del Tiratelli avendone sposato la sorella Sofia, è noto al pubblico l’acquerello dal titolo “Scorcio di Ceccano” che ritrae un angolo dell’attuale Largo Tommasini. Tra gli altri pittori che soggiornarono a Ceccano occorre ricordare Stefano Donadoni appartenente alla corrente del Vedutismo, genere pittorico che si occupava di paesaggi o di città riprese dal vero, che rappresentò con splendidi acquerelli la campagna nei pressi di Ceccano oggi di difficile localizzazione. Infine, Scipione Simoni uno dei fondatori dell’associazione degli acquerellisti romani, autore di magnifici acquerelli realizzati nel 1893 che raffigurano scorci ancora oggi perfettamente identificabili in via S. Antonio, nel cuore della parte più antica di Ceccano.

Ma Tiratelli ebbe anche tanti allievi e tra i più noti ed apprezzati va senz’altro annoverato la figura di Lorenzo Cecconi (1863-1947) egli entra a far parte giovanissimo dei “XXV della campagna romana”, un gruppo formato da 25 artisti accomunati dal gusto di ritrarre dal vero la natura. Tale compagine fu sciolta nel 1934 dal fascismo. Nell’ottobre 1883 Cecconi è presente a Ceccano e realizza 4 disegni tutti a matita che pubblichiamo in anteprima dopo averli acquisiti da una casa d’arte di Milano, di cui 2 rappresentano angoli del centro storico e due con soggetti di natura floreale. Soprattutto le due vedute del centro storico sono state particolarmente interessanti per la ricerca e riscoperta dei luoghi dove il pittore eseguì questi mirabili disegni “imprigionandone” la bellezza e autenticità che ancora -a tanti anni di distanza- ci affascinano.

Ebbene il luogo è ubicato sulla parte finale del percorso carrabile dell’attuale via Porta Abbasso prima di proseguire su via del Montano Vecchio (sulle vecchie mappe catastali è riportata come via Quattro Cantoni) radicalmente cambiata sia per le pesanti distruzioni dei bombardamenti della Seconda guerra mondiale e sia per le esigenze dello sviluppo moderno in particolare per la realizzazione di slarghi necessari per il passaggio e parcheggio di autovetture.

Dal confronto tra la situazione dell’epoca e quella di oggi si è rilevato che la sagomatura della scalinata è la stessa anche se i gradoni sono stati ricoperti di asfalto rispetto all’originaria pavimentazione in ciottoli di pietra mentre intorno sono scomparsi gli edifici che coronavano il piccolo slargo rappresentato dalla matita del Cecconi, particolarmente emozionante è stato individuare alcune pietre sul muro soprastante che sono rimaste identiche a quelle ritratte nel 1883! Altra annotazione interessante è la sagoma del piccolo campanile sullo sfondo forse potrebbe identificare l’ubicazione della chiesetta di S. Antonio di cui oggi è completamente scomparsa ogni traccia a seguito dei rimaneggiamenti avvenuti nel corso dei decenni e delle nuove costruzioni.

Per il secondo disegno a matita  di un angolo del centro storico, realizzato  sempre nell’ottobre del 1883, è stato impossibile localizzarne il luogo anche se sicuramente ubicato nelle  adiacenze , ma nel contempo è  interessante la rappresentazione grafica di un elemento tipico dell’architettura civile  del Medioevo ,oggi quasi del tutto scomparso nel centro storico, il profferlo, che consentiva tramite una scala esterna  di raggiungere i piani sopraelevati mentre al di sotto con un apertura di solito ad arco si accedeva al piano terra destinato  a bottega , a cantina o più raramente a stalla.

In definitiva è attraverso la visione e la lettura di questi straordinari disegni che rappresentano una testimonianza di grande valore culturale per l’interesse che il paesaggio ed in particolare il centro storico offrivano agli artisti, che si rilevano ancora oggi aspetti di una comunità raccolta attorno al suo cuore antico, funzioni e significati che nello sviluppo moderno sono stati persi completamente.

Sarà possibile nel futuro , al di là delle ricerche storiche e culturali attuali ,  pensare o ipotizzare di poter riutilizzare i fabbricati abbandonati o le piazzette della parte antica di Ceccano ad uso abitativo, recuperare le  piccole botteghe o laboratori artigianali con destinazioni per attività culturali o sociali per dare nuova vita al centro storico recuperandone l’antica bellezza come emergeva  dai pennelli o dalle matite di Tiratelli, Joris, Donadoni, Simoni ed infine da Lorenzo Cecconi?

Nota: i disegni a matita di Lorenzo Cecconi realizzati nell’ottobre del 1883 sono di proprietà dell’Arch. Luigi Compagnoni, se ne autorizza la riproduzione o divulgazione previa citazione della provenienza.

La battaglia di Ceccano nel maggio del 1944 nel filmato del corpo di spedizione francese (CEF) durante l’attacco sul versante sud del centro abitato

Il ripiegamento dei reparti dell’esercito tedesco, dopo lo sfondamento della linea Gustav con la conquista di Montecassino il 18 maggio 1944 da parte dei soldati polacchi, avviene progressivamente con successive linee difensive di arretramento con lo scopo principale di rallentare, il più possibile, l’avanzata delle armate alleate e consentire al resto delle truppe germaniche di poter raggiungere Roma e successivamente il nord Italia.

Nel territorio compreso tra Cassino e Frosinone (distanti in linea d’aria poco più di 40 km.) i tedeschi formeranno ben 5 linee difensive ed appunto sull’ultima, costruita attorno al centro abitato di Ceccano, le armate alleate troveranno uno degli ostacoli maggiori prima di poter compiere l’ultimo balzo verso la conquista di Roma.

I tedeschi, già presenti nella cittadina fabraterna all’indomani dell’armistizio, vi insediano nei mesi successivi reparti logistici di supporto e rifornimento alla battaglia Cassino – che durò circa 4 mesi –  e, sfruttando l’orografia del territorio strutturano una linea difensiva con un andamento  semicircolare, posizionando i capisaldi sulle maggiori alture che circondano il centro abitato in grado pertanto di mettere sotto controllo sia le strade provenienti dal versante Sud (Cassino e i monti Ausoni), ma anche il versante Ovest che guarda il passo della Palombara, nodo strategico di collegamento tra la valle dell’Amaseno e la valle del Sacco.

Le forze alleate, superando di volta in volta le successive linee difensive approntate dai tedeschi in ripiegamento, arrivano sul territorio ceccanese all’indomani della battaglia di Campo Lupino, la quota più alta di Monte Siserno, la montagna che funge da spartiacque tra i paesi di Castro dei Volsci, Villa S. Stefano, Giuliano di Roma e Ceccano.

I soldati della 4^ Divisione di Montagna marocchina procedono sulla cresta del Siserno con l’obiettivo di conquistare Giuliano di Roma e, successivamente, l’importante passo della Palombara mentre altri reparti del CEF (2^ Divisione e i Cacciatori d’Africa della 1^ Divisione) a cui si sono aggiunti reparti militari americani si dirigono su Ceccano su due direttrici, la prima proveniente da Colle del Vescovo, Bosco S. Ermete e via Gaeta, e l’altra dalle contrade di Maiura e Badia.  Questi reparti appartengono alla V^ Armata alleata – comandati dal generale Mark Clarke – e il settore a loro assegnato è sulla riva destra del fiume Sacco, mentre sul versante opposto operano i reparti dell’VIII^ Armata al comando del generale Oliver Leese, costituita principalmente da soldati Canadesi.  

Per capire la complessità dell’attacco abbiamo riportato graficamente sulle foto aeree, scattate dall’aviazione americana nel gennaio del 1944, l’ubicazione dei capisaldi della linea difensiva tedesca e le direttrici di attacco dei reparti alleati. Tutte le descrizioni dei feroci combattimenti avvenuti nel territorio di Ceccano nei tre giorni di fine maggio fanno riferimento, oltre alle ricerche storiche citate in bibliografia, ai diari di guerra di due ufficiali il primo del Capitano Malavoy dell’VIII° Reggimento dei cacciatori d’Africa del CEF dal titolo “Du Niger au Danube” e il secondo, anch’esso importante, per poter ricostruire le varie fasi della battaglia, dal Colonnello Goutard  dal titolo “Dans la campagne d’Italie”.

Oggi, grazie a inedite riprese filmate rese disponibili dal servizio di produzione e archivio fotografico e audiovisivo del Ministero delle forze armate Francesi, è possibile sviluppare nuove riflessioni e considerazioni sulle manovre di attacco che consentirono ai soldati del CEF alla fine di superare la linea difensiva predisposta dai tedeschi anche se a costo di numerosi caduti.

Il filmato, ad opera del cineoperatore Raymond Mèjat dal titolo “La campagna d’Italia: avanzata francese verso Roma”, mostra il cannoneggiamento sul versante sud del centro urbano di Ceccano, anche se le didascalie lo indicano semplicemente come “village” ma sono perfettamente identificabili nell’abitato: il castello, il serbatoio sulla sommità di via Santo Stefano ed in basso a sinistra del filmato un edificio di notevole mole che abbiamo individuato nel palazzo Marella ubicato all’inizio dell’attuale via Giacomo Matteotti. La posizione del cineoperatore francese è localizzabile nella zona situata sul crinale di colle Ciarletti (via Due Cone nella toponomastica comunale odierna), sicuramente era affiancato da ufficiali osservatori che permettevano di inviare le coordinate di tiro agli artiglieri posizionati sulle retrovie, le colonne di fumo dei colpi di artiglieria che si alzano nell’abitato individuano le zone colpite in corrispondenza della attuale Madonna della Pace e della Madonnella-Rifugio. Si tratta di un cannoneggiamento senza il supporto dell’aviazione è quindi un’azione militare per cercare di colpire le postazioni tedesche, al contrario dei numerosi bombardamenti alleati che nei mesi precedenti distrussero gran parte del centro storico, ma senza grandi risultati strategici.

Ancora più completa fu la difesa del versante Est per contenere l’avanzata dei reparti della VIII^ Armata alleata. I tedeschi fecero esplodere con le mine il ponte sul fiume Sacco e i circostanti edifici, in particolare lo storico palazzo Berardi, e resero impossibile il passaggio dei fucilieri e dei carri armati Canadesi su quel lato. La stessa strategia venne utilizzata dai tedeschi per bloccare l’accesso  al centro urbano da via Gaeta attraverso la zona della Madonnella (oggi via del Rifugio) facendo crollare gli edifici su via Principe Umberto e Viale Littorio (oggi Viale della Libertà) che di fatto  rese impossibile l’avanzata ai mezzi corazzati del CEF  su quella direttrice,  ostacolata anche dalla presenza  di estesi campi minati che impegneranno i genieri francesi in complesse azioni di bonifica sotto il tiro nemico.

Resta pertanto solo l’attacco delle fanterie sul versante Sud e dopo la martellante azione dell’artiglieria come testimoniato dalle immagini del filmato, i soldati franco-marocchini sfondano la linea difensiva tedesca in due distinte battaglie, nella zona del colle del Boschetto con tre attacchi successivi  e in prossimità di colle Sant’Arcangelo nel sottostante bosco dei Tocchi, le descrizioni degli scontri all’arma bianca sono particolarmente cruenti e nei resoconti delle battaglie non si menzionano prigionieri ma solo il numero dei caduti da ambedue gli schieramenti. La sera  del 29 maggio  il colonnello tedesco Wolf Ewert ordina il definitivo ripiegamento delle  forze tedesche e  la mattina del 30 i primi soldati del CEF potranno entrare nella città senza incontrare ulteriore resistenza.

La battaglia a difesa di Ceccano, ultima linea difensiva Tedesca prima del definitivo ripiegamento su Roma, impegnerà le due armate alleate in 3 giorni di durissimi scontri per la conquista dei capisaldi e del centro urbano. Il dato temporale è ancora più significativo per la durezza dei combattimenti degli eserciti in campo se si considera che per conquistare pochi chilometri furono necessari ben 3 giorni, mentre per arrivare definitivamente a Roma – distante 60 km. – ne basteranno solo 4!

Luigi Compagnoni

Riferimenti bibliografici:

Le vicende militari relative alla battaglia per la conquista del centro abitato di Ceccano sul finire del mese di maggio del 1944   da parte delle truppe alleate della V^ e VIII^ Armata e del corpo di spedizione francese in Italia (sigla abbreviata: CEF) sono state ampiamente raccontate e descritte nel passato   da minuziose e articolate ricerche da parte degli storici e ricercatori locali, che cito in ordine cronologico:

  • Prof. Giovanni Ruspandini  “Il mondo sembrava fermo” edito dall’Amministrazione  Comunale di Ceccano ,  pubblicato nel 2006  ; 
  • Prof. Gianluca Coluzzi “Ceccano e la  guerra 1944-2014” con la collaborazione  degli studenti del Liceo Scientifico  di Ceccano, pubblicato nel 2014  avvalendosi anche di  testimonianze dirette  di persone  che furono  presenti   ai tragici fatti che sconvolsero  la popolazione locale;
  • Prof. Angelino Loffredi e Lucia Fabi “Il dolore della memoria: 1943-1944” pubblicato nel 2016;  

Alla  presente ricerca hanno collaborato  :

  • Raniero Compagnoni per la ricerca documentale presso il centro di comunicazione e produzione audiovisiva della Difesa Francese – ECPAD;
  • Francesca Aversa per l’elaborazione grafica sulle foto aeree del 1944 della battaglia di Ceccano;

Nota: il filmato è stato acquistato dall’archivio ECPAD-Ministero della difesa Francese dall’Arch. Luigi Compagnoni, ne è consentita la divulgazione previa citazione delle fonti di provenienza;

“Diversa…mente in campo”, lo Sport come strumento di solidarietà e inclusione

Ogni tanto accade anche nello sport di assistere a singolari e straordinarie manifestazioni come quella tenutasi lo scorso 18 Dicembre presso il Bocciofilo Parco Fitness di Patrica dove, a competere e a vincere sono soprattutto la comunanza e il sostegno.
Stiamo parlando della Manifestazione denominata “Diversa…mente in campo” nella quale, attraverso l’organizzazione del Circolo Bocciofilo Badia, si sono “sfidati” nel gioco delle bocce tra sorrisi e pacche sulle spalle atleti paralimpici provenienti dalle strutture sociosanitarie della Citta di Ceccano e dall’intero territorio provinciale.


Al termine degli incontri gli atleti sono stati premiati con medaglie consegnate dal Presidente Del Brocco, dai rappresentanti dei Comuni di Patrica e Ceccano e dagli sponsor che con il loro impegno consentono la realizzazione e svolgimento di tali manifestazioni.
Il Presidente nel suo intervento finale ha voluto esprimere il ringraziamento proprio e di tutta l’Associazione per tutti coloro che a vario titolo collaborano costantemente con l’Associazione, con una menzione speciale per gli amici della ABB Sace che quest’anno si sono aggiunti per l’organizzazione della Manifestazione e che da anni sono lodevolmente impegnati in tante iniziative sociali sul territorio.
Alla solidarietà e inclusione che hanno caratterizzato l’evento, si è aggiunta infine “l’accoglienza” fornita da Don Sebastiano, Parroco del Santuario di Santa Maria a Fiume in Ceccano, che ha dato ospitalità e ristoro in un pranzo natalizio a base di polenta e salsiccia agli atleti e a tanti altri amici condividendo con essi un gesto di convivialità attraverso l’augurio natalizio di cementare e implementare lo spirito di unione e di solidarietà che contraddistingue manifestazioni come “Diversa…mente in campo”.

L’augurio per il nuovo anno è che si consenta a questa disciplina, inclusiva e amata da tutte le fasce di età, di tornare ad avere delle strutture e dei luoghi cruciali per il suo svolgimento a tutti i livelli.